Alla fine di ottobre del 1923, dopo l'annuncio di una marcia-parodia di fascisti armati (camicie nere) con l'obiettivo di occupare Roma, il re Vittorio Emanuele III consegnò il potere governativo a Benito Mussolini. In realtà, la marcia dei fascisti non si realizzò mai nella portata che le fu attribuita storicamente, mentre le poche migliaia di mal equipaggiati fascisti che si erano radunati fuori Roma avrebbero potuto essere affrontati con facilità dalle forze di polizia e militari. Del resto, anche la precedente violenta azione delle camicie nere si basava non sulle loro forze e capacità, ma sulla provocatoria tolleranza e sostegno delle varie istituzioni e dei repressivi meccanismi dello stato capitalistico. Ciò nonostante, il re, invocando il pericolo (infondato) dello scoppio di una guerra civile e la necessità di evitare lo spargimento di sangue, si rifiutò di firmare un decreto che prevedesse la loro repressione.[1]
Anche così, però, la nomina di Mussolini a primo ministro presupponeva che fosse sostenuto da una base parlamentare più ampia di quella dei 35 deputati (su un totale di 535) eletti alle elezioni politiche (maggio 1921). Il governo Mussolini fu sostenuto dal Partito Popolare Italiano cristiano-democratico, dal Partito Liberale Italiano, dalla Democrazia Sociale (da non confondere con i due partiti socialdemocratici) e dall'Associazione Nazionalista Italiana. In breve, una parte significativa dei cosiddetti partiti borghesi democratici non solo tollerarono l'ascesa del fascismo al potere politico, ma parteciparono anche ai governi Mussolini, aprendo la strada al suo trionfo elettorale con il 66% e 374 seggi nelle elezioni dell'aprile del 1924, generosamente finanziato dal capitale italiano.[2] Poco dopo, nel gennaio del 1925, Mussolini avrebbe sciolto il parlamento.
Tutta la carriera di Mussolini, la tolleranza degli organi statali verso l'azione delle bande fasciste, la collaborazione del re e dei partiti politici borghesi e il multiforme sostegno dei capitalisti italiani dimostrano che il fascismo fu scelto dalla borghesia italiana come la forma più adatta del suo potere politico, al fine di raggiungere due obiettivi interconnessi: a) reprimere il nemico di classe interno, che aveva spaventato il potere capitalista italiano scosso dalla guerra imperialista della Prima Guerra Mondiale durante il cosiddetto "biennio rosso" (1918 - 1920), quando si verificarono estese mobilitazioni operaie e occupazioni di fabbriche del Nord industriale; b) prepararsi militarmente, al fine di perseguire una nuova distribuzione dei mercati, delle sfere di influenza e delle rotte commerciali (dato che lo stato capitalista italiano, pur appartenendo ai vincitori della guerra, era stato danneggiato nella spartizione del bottino di guerra).
Certamente, sotto la guida di Mussolini il potere capitalista, assicurandosi il sostegno dei ceti medi borghesi, realizzò la repressione del movimento operaio-popolare e comunista. Migliaia di comunisti e sindacalisti furono imprigionati, esiliati o persino eliminati dallo stato borghese, dalle sue bande paramilitari e dai sicari dei datori di lavoro. Parallelamente, il regime fascista, orientato dagli obiettivi costanti della politica estera italiana, preparò in molteplici modi il dominio dell'Italia su fonti di ricchezza e importanti rotte commerciali (Mediterraneo, Golfo di Aden).
Il ruolo da protagonista dell'Italia nella costituzione dell'Asse fascista, così come una serie di operazioni belliche e altre azioni (seconda guerra italo-libica e proclamazione della Libia Italiana, attacco all'Etiopia e formazione, insieme a territori dell'Eritrea e della Somalia, dell'Africa Orientale Italiana, campagna nel Nord Africa con l'obiettivo di conquistare l'Egitto, occupazione dell'Albania, attacco alla Grecia e tentativo di annessione delle Isole Ionie), si muovevano in questa direzione. Tuttavia, le gesta dell'imperialismo italiano sui campi di battaglia non furono all'altezza delle aspettative e nella maggior parte dei casi (Nord Africa, Grecia) il mantenimento delle posizioni italiane si basò sull'aiuto delle truppe naziste tedesche. Di conseguenza, dopo la vittoria dell'Armata Rossa a Stalingrado (febbraio 1943), l'ingloriosa fine della campagna in Nord Africa (maggio 1943) e lo sbarco delle truppe angloamericane in Sicilia (luglio 1943), la borghesia italiana comprese che il futuro della guerra era deciso. Ormai la difesa dei suoi interessi, persino la salvezza del suo potere, imponevano il cambio delle alleanze dello stato capitalista italiano nel bel mezzo della guerra.
Del resto, erano fresche le memorie di ciò che seguì la fine del precedente Guerra Mondiale e all'interno dell'Italia divampava la resistenza, alla cui avanguardia e guida si trovavano i comunisti italiani. Il PCI, dopo un quindicennio di dure persecuzioni, era riuscito a riportare il suo centro dirigente in Italia nel 1941 e aveva iniziato a ricostruire le sue Organizzazioni di Partito clandestine, in particolare nelle città operaie del Nord.[3] La sua azione non tardò a dare frutti, poiché iniziarono a costituirsi le prime formazioni partigiane, soprattutto nelle zone montuose, ma anche all'interno dei centri urbani. A maggio seguirono anche i primi scioperi nelle fabbriche, che ponevano anche rivendicazioni politiche.
Il 5 marzo 1943, a Torino, chiamata la "Leningrado d'Italia" (a causa delle numerose industrie, della superiorità numerica del proletariato di fabbrica e della rivolta operaia del 1920), migliaia di operai scesero in sciopero nello stabilimento della "Fiat - Mirafiori". Nonostante la vasta repressione, gli scioperi e i sabotaggi alla produzione continuarono e si estesero, inizialmente a Milano e successivamente in tutti i centri industriali del Nord.[4] L' ondata di scioperi dimostrò per la prima volta le potenzialità organizzative di massa della resistenza, alimentò l'azione armata partigiana e spaventò i vertici del regime fascista e i loro alleati internazionali. Hitler, commentando l'incapacità del regime fascista di affrontarla in questo periodo particolarmente critico della guerra, affermò: "Ho sempre detto che in questi casi chiunque mostri anche la minima debolezza, perde".[5]





